Praga e la libertà
Praga ha la sua storia che le consente di essere un inno alla libertà, così malgrado i fatti del 1968 i giovani a Praga hanno costruito e vissuto questo, inno alla libertà ed alla pace.
La sensazione è che certi momenti durino eternamente, come l'abbraccio fra i movimenti del '68 nel mondo occidentale e i movimenti del '68 oltre cortina.
Fu una grande fiammata che per anni ha prodotto un cambiamento reale nella vita di tutti, Da Washington e la West Coast all'Est Europa, passando per le piazze di tutti i paesi.
La musica, l'arte, la vita di tutti i giorni furono rivoluzionate in modo travolgente, malgrado i tentativi di mettere la mordacchia da parte di perbenisti, ipocriti che proclamavano libertà che non erano tali, l'instaurazione ed il mantenimento di regimi tristi.
Le conseguenze furono dirompenti, portarono alla fine di guerre atroci contro il volere dei popoli, l'Europa si liberò di regimi illibertari in modo incruento.
Le persone divennero più libere anche se nuove modalità di imporre modelli sterotipati e omologanti, a colpi di spot pubblicitari, riuscirono ad allontanere nella memoria quello che accadde, per molto tempo.
Parole come pace, amore e libertà divennero le colonne sonore della vita.
"Imagine" ne fu il simbolo.
" Oggi quella canzone è vita autentica nelle nostre giornate che muoiono nella vigliaccheria, nell’indifferenza, nella superficialità. Nell’arrogarsi il diritto di negare o togliere diritti a chi non la pensa come noi. Le canzoni sono più sagge di tanti politicanti chiacchieroni. Sono più rivoluzionarie di tanti anarchici allo sbaraglio e sono più misericordiose di tanti ecclesiastici infernali. Le canzoni parlano e fanno paura. Svegliano le coscienze. E non hanno età. Perché la libertà e la pace non sono un premio a tempo ma una conquista giornaliera.
C’è un muro che racconta tutto questo. E’ emozione che parla se la sai ascoltare. E’ a Praga, nascosto a ridosso del Ponte Carlo. In origine era un semplice muro della città. Bianco, intonso, arido come tanti altri. Come quasi tutti gli altri. Poi, alla morte di John Lennon, a partire dagli inizi degli anni ’80, quel muro s’infiamma, si colora, prende il coraggio di contrastare il regime comunista allora al potere.
Un muro, un semplice muro che usa le parole di John Lennon e frasi delle canzoni dei Beatles per farsi portavoce di un’altra storia. Di pace e amore. Di democrazia e fratellanza. I giovani su quel muro disegnano e spiegano la loro voglia di futuro. Dove non c’è una dittatura di pensiero ma un’idea democratica di condivisione. John Lennon un mondo migliore non solo lo aveva immaginato ma lo aveva promosso in prima persona.
Quel muro da subito diventò un passaparola e una meta per i giovani di tutto il mondo che qui facevano tappa per cantare, scrivere, sognare. Quel muro diventò un manifesto del buon vivere e come tale iniziò a dare fastidio.
Oggi quel muro è più attuale che mai. Ci sono passata davanti qualche giorno fa. E’ un esperanto di graffiti e scritte. Una bandiera senza bandiere perché è il mondo che ci parla dentro. Con semplici spray e senza comizi. E se siete fortunati, come lo sono stata io, ci trovate un giovane con la chitarra a cantare Lennon e i Beatles. Ed è spontaneo unirsi a lui. Orientali e occidentali. Giovani e meno giovani. Intonati e stonati. Magicamente insieme. Perché alla fine, davvero, all you need is love." (Paola Pellai https://faremusic.it/2016/02/18/all-you-need-is-love/)
1969.
Il giorno seguente, giovedì 16 gennaio, si recò a Praga. Passò la mattina nel dormitorio studentesco di Spořilov, scrivendo prima una brutta copia e poi quattro lettere, di cui una indirizzata all'Unione degli scrittori cecoslovacchi, una a Lubomír Holeček e una al suo amico Ladislav Žižka, mentre portò con sé l'ultima. Salutò con disinvoltura i suoi compagni di stanza e uscì. Imbucò le lettere, insieme ad una cartolina indirizzata a Hubert Bystřičan, con cui aveva fatto amicizia in Kazakistan durante la brigata in URSS. La cartolina contiene un breve saluto ed è firmata "il tuo Hus". Mangiò in via Opletalova, in una mensa studentesca. Dopodiché acquistò due contenitori di plastica bianca che fece riempire di benzina nella stessa via Opletalova. Nel pomeriggio si recò in piazza San Venceslao, al centro di Praga, e verso le ore 14:25 si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale, dove depose il suo cappotto e la borsa, contenente la sua lettera e alcuni altri oggetti. Aprì con un coltello una bottiglietta di etere e ne annusò il contenuto, poi si cosparse il corpo di benzina e si appiccò il fuoco. In fiamme, saltò il parapetto che all'epoca si trovava davanti alla fontana e corse verso la statua di San Venceslao al centro della piazza, sotto gli occhi dei passanti. Fu quasi urtato da un tram e deviò in direzione del negozio di alimentari Dům potravin. A soccorrerlo fu Jaroslav Špírek, un tranviere, che spense le fiamme con un cappotto, aiutato poi anche da altre persone. Immediatamente, il ragazzo chiese ai presenti di leggere la sua lettera, temendo che le autorità l'avrebbero fatta sparire se ne avessero avuto l'occasione. Presto arrivò un'ambulanza che portò il giovane, ancora pienamente cosciente, dapprima all'ospedale situato in piazza Karlovo Náměstí, dove però non fu ricoverato. Data la gravità delle sue ferite, che ricoprivano l'85% del suo corpo, i medici lo trasferirono immediatamente al reparto grandi ustionati della Clinica di chirurgia plastica di via Legerova, dove passò gli ultimi giorni della sua vita in una stanza singola, per ridurre al minimo il rischio di infezioni. Le prime parole che rivolse ai medici sull'ambulanza furono "Non sono un suicida!". Insistette anche in seguito che il suo gesto era una protesta, un grido alla coscienza della nazione, non un tentativo di suicidio motivato da un disagio personale.
La sera stessa fu trasmesso alla radio un comunicato con la notizia che uno studente aveva tentato di suicidarsi con il fuoco in piazza San Venceslao. Furono rese pubbliche solo le iniziali J.P. del suo nome.
«Non dovremmo essere troppo presuntuosi. Non dobbiamo avere un’opinione troppo grande di noi. L’uomo deve lottare contro quei mali che può affrontare con le sue forze.»
“Pomeriggio capriccioso. / È più che un nuovo Prometeo colui che stanno portando in giro. / Gli occhi sono un argine sfondato. / Piango – nella pioggia – sul marciapiede. / Per tutto./ Per i ventun anni, / per il fiore primaverile abbattuto dai soldati stranieri, / per l’Uomo che rifiutò di tornare indietro, /... È gennaio 1969.“
Jan Zajíc, da una poesia a Jan Palach
Il 25 febbraio 1969 Jan Zajíc, studente di un Istituto tecnico a Šumperk, si cosparse di un liquido infiammabile e si dette fuoco in un‘abitazione in Piazza San Venceslao a Praga. Seguì consapevolmente l’esempio dell’auto-immolazione di Palach, avvenuta nel gennaio dello stesso anno. Non riuscì ad uscire dall’edificio e morì sul posto.
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In memoria di Jan Palach a piazza San Venceslao. Il luogo del martirio raccontato con semplice gravità. |
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In memoria di Jan Palach e Jan Zaijc a piazza San Venceslao. Le torce umane contro le dittature.
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https://youtu.be/FmUgOE_i73Q?si=fSwJeMMgI7-TDVZy